Quei versi italiani
Che a scuola, al liceo
Sembravan sì strani
Che quasi un babbeo
Pareva l'avesse
Vergati a casaccio,
Di scarso interesse
Con sforzo ed impaccio,
Rimasti non son
Di tutti alla mente
Causando avversion
Per quelli realmente
Di lodi e lettura
Ben degni, non come,
Quegl'altri, fattura,
Di bestie da some?
Riprendendo un suggerimento di coloboma, apro una discussione sulle poesie brutte che ci propinavano a scuola, spesso le più brutte di autori che pure in gioventù ne avevano fatto di belle, tipo Leopardi che a 11 anni scriveva questi deliziosi doppi settenari contro la minestra e che poi finì per scriverne dii orride che ovviamente impongono ai ragazzi. E voi che ricordi avete?
Perché a scuola non fanno leggere questa:
Apri, o canora Musa, | i boschi di Elicona,
E la tua cetra cinga | d’alloro una corona.
Non or d’Eroi tu devi, | o degli Dei cantare,
Ma solo la Minestra | d’ingiurie caricare.
Ora tu sei, Minestra, | de’ versi miei l’oggetto,
E dir di abbominarti | mi apporta un gran diletto.
Ah se potessi escluderti | da tutti i regni interi;
Sì certo lo farei | contento, e volentieri.
O cibo, invan gradito | dal gener nostro umano!
Cibo negletto, e vile, | degno d’umil villano!
Si dice, che risusciti, | quando sei buona i morti;
Ma oh detto degno d’uomini | invero poco accorti!
Or dunque esser bisogna | morti per goder poi
Di questi beneficj, | che sol si dicon tuoi?
Non v’è niente pei vivi? | sì mi risponde ognuno;
Or via sù me lo mostri, | se puote qualcheduno.
Ma zitto, che incomincia | furioso un certo a dire;
Presto restiamo attenti, | e cheti per sentire.
E dir potrete vile | un cibo delicato,
Che spesso è il sol ristoro | di un povero malato?
Ah questo è uno sproposito, |che deve esser punito,
Acciò che mai più possa | esser da alcun sentito.
È ver, ma chi desidera | la Dio mercè esser sano
Deve lasciar tal cibo | a un povero malsano.
Piccola seccatura | vi sembra ogni mattina
Dover mangiare a mensa | la cara minestrina?
Levatevi, o mortali, | levatevi d’inganno,
Lasciate la minestra, | che se non è di danno,
È almen di seccatura. | Ora da te, mia Musa,
Sia pur la selva opaca | del tuo Elicone chiusa.
Io forse da qualcuno | talor sarò burlato,
Ma non m’importa bastami, | d’essermi un po’ sfogato.
E ci hanno ammorbato con "a Silvia"?